giovedì 1 dicembre 2016

¡NI UNA MENOS!





DICIASSETTE AMMONIMENTI PER UNA POESIA FEMMINISTA



1 Guardati dall'uomo che condanna l'ambizione; gli prudono le dita sotto i guanti. 

 2 Guardati dall'uomo che condanna la guerra serrando i denti.

3 Guardati dall'uomo che condanna le donne che scrivono il suo pene è minuscolo & non sa sillabare.

4 Guardati dall'uomo che ti vuole proteggere ti proteggerà da tutto fuorché da se stesso.

5 Guardati dall'uomo che sa cucinare; ti lascerà la cucina piena di pentola unte.

6 Guardati dall'uomo che ama la tu anima; è un rompiballe.

7 Guardati dall'uomo che condanna sua madre; è un figlio di puttana.

8 Guardati dall'uomo che scrive figlio di puttana tutto attaccato; è un ignorante.

 9 Guardati dall'uomo che ama troppo la morte; sta per fare un'assicurazione.

10 Guardati dall'uomo che ama troppo la vita; è uno sciocco.

11 Guardati dall'uomo che condanna gli psichiatri; ha paura.

12 Guardati dall'uomo che ha fiducia negli psichiatri; è pieno di debiti.

13 Guardati dall'uomo che ti sceglie i vestiti; ha voglia di metterseli.

14 Guardati dall'uomo che ti sembra indifeso; ti coglierà di sorpresa.


15 Guardati dall'uomo che si cura solo di libri; scorrerà come un rivolo d'inchiostro.

16 Guardati dall'uomo che scrive lettere d'amore fiorite; prepara anni di silenzio.

17 Guardati dall'uomo che loda le donne liberate; sta pensando di abbandonare il lavoro.

Erica Jong - 1976

lunedì 21 novembre 2016

IO CI SONO, LA STORIA DI LUCIA ANNIBALI



Il libro


IO CI SONO LA MIA STORIA DI NON AMORE

LUCIA ANNIBALI
*
Il 18 settembre compio trentasei anni, da questo in avanti, gli anni che verranno saranno quelli di un’altra Lucia. La donna che sono stata finora non esiste più e non è che la rinneghi. È che davanti allo specchio ce n’è una nuova più consapevole, più forte, più determinata, più coraggiosa e, anche se potrà sembrare strano, più bella. Mi sento bella della mia dignità e del mio orgoglio; amo il mio viso più di quanto lo amassi quand’era perfetto, lo amo perché mi sono sudata ogni piccolo, piccolissimo passo avanti per vederlo migliorare. La mia faccia oggi è il frutto della mia fatica e della mia tenacia. È un progetto ed è il risultato del bene che mi hanno voluto tante, tantissime persone sconosciute fino a quella sera di aprile...
Nell’intervista comparsa sul Corriere del 9 settembre 2013 dico che “mi piacerebbe moltissimo aiutare in qualche modo gli ustionati” ma anche “occuparmi delle donne schiacciate da uomini inetti e incapaci di convivere con le loro fragilità”.
E spiego “alle donne voglio dire: voletevi bene, tanto, tantissimo. Credete in voi stesse e sappiate che ogni atto di
violenza subita non dipende mai da voi che amate l’uomo sbagliato ma da lui che lo commette”.
Mi rendo conto fin da subito che quelle parole fanno di me una specie di consigliera, quasi un simbolo per le donne vittime della violenza di fidanzati, amanti, mariti, spasimanti ... Io immagino una “ragazza X”, una qualsiasi, che leggendo di me decide di non subire, di denunciare, di rompere il silenzio su una situazione violenta. Mi dico che, se raccontare la mia storia può salvarne anche soltanto una, ne sarà valsa la pena. Ma so anche fin troppo bene quanto sia facile rimanere impigliata nelle spine di un amore, quanto si possono sottovalutare gli stessi cartelli che io per prima non ho letto: “ATTENZIONE. ALLARME”. Basta soltanto ripensare a quel che è successo a me per capire le mille altre Lucie in difficoltà e incapaci di reagire se non quando è ormai troppo tardi...
Una certezza, però, ce l’ho, e potrei ripeterla un milione di volte davanti a un milione di donne: l’amore non tollera nessuna violenza. Se avessi davanti quella ragazza adesso, le direi che una storia che fa perdere il controllo della sua mente non è d’amore,che anche solo uno spintone per una discussione qualsiasi è la negazione dell’amore, come lo è dover rinunciare alla propria indipendenza e alla capacità di essere se stesse perché lo vuole lui. Le direi che non è amore sentirsi annientati psicologicamente e che l’amore vuole intelligenza, gentilezza, divertimento, rispetto. Soprattutto rispetto.
“Non fare gli errori che ho fatto io”. Proverei a convincerla. “perché io ho preso un abbaglio e ho creduto di vedere amore dove amore non c’era. E adesso lo so: esiste un solo tipo di amore, quello che è anche amicizia e, come l’amicizia, è una relazione terapeutica che ti arricchisce e ti fa crescere.
Mi ritrovo a chiedermi che cos’è per me oggi, l’amore ... in tutto questo meditare è impossibile non pensare a lui, al nostro non amore. Si è preso tutto di me: il corpo, il cuore, la faccia. Senza rispetto, senza volere bene né a me né a se stesso. E allora scrivo il mio discorso sull’uomo che immagino come il suo contrario. Penso alle donne che finiscono nei titoli dei telegiornali, uccise o ferite da uomini incapaci di sopportare il dolore di un abbandono. Ecco. Penso a loro e scrivo agli studenti che avrò davanti (incontro pubblico del 25 novembre organizzato da club femminili di
Parma, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne a cui parteciperanno tantissimi studenti): Siamo chiamati a scegliere che tipo di persone vogliamo essere. E sarebbe bello se, in questo momento di follia collettiva, voi ragazzi sceglieste di fare la differenza, di essere originali. Di essere gentili, affettuosi, amorevoli verso le vostre compagne, e viceversa. A voi ragazze auguro inoltre di scegliere innanzitutto il rispetto di voi stesse e del vostro corpo, di non annullarvi mai, di coltivare e proteggere la vostra dignità, di non fare mai niente che sia contro la vostra volontà o il vostro sentire, di essere libere di essere voi stesse, di mettervi sempre al centro, di non permettere a nessuno di convincervi che ci sia qualcosa che non va in voi.
Perché la vita è troppo preziosa per passarla a essere infelici, e il tempo trascorso a permettere a qualcuno di ferirci non torna. Spero che farete questa scelta innanzitutto per la vostra felicità e poi anche per me, per chi soffre o ha sofferto, per farci sperare che le cose un domani saranno davvero diverse. C’è una frase che mi aveva colpito in passato: il comportamento rivela chi siamo. Fate sì che ilvostro comportamento dica che siete brave persone, capaci di trovare empatia e generosità verso chi vi sta accanto.
Io ringrazio il mio volto ferito, che oggi mi dà la forza la possibilità di condividere con voi questi miei pensieri. Perché il mio volto ferito mi ha insegnato ad avere fiducia in me stessa, mi ha fatto fare quel salto verso la donna che desideravo diventare. Oggi mi sento padrona di me stessa,
della mia vita, dei miei pensieri, del mio sentire, del mio corpo. Oggi ho un progetto, il mio viso è il mio progetto, dal quale ripartire per far sì che la mia vita da ora in poi sia una vita felice, vissuta in sintonia con me stessa. Il mio viso parla di me, del mio dolore, della mia fatica, della mia forza di volontà, della mia speranza, della mia gioia. Il mio viso oggi sono veramente io. Così la mia diversità non è affatto un limite per me, ma anzi è una grande opportunità di crescita e miglioramento. Per questo non mi sento in credito con la vita, ma anzi sono molto grata alla vita per avermi dato questa seconda meravigliosa possibilità.
*
Lucia Annibali, avvocato, vive nelle Marche, sfregiata con l’acido il 16 aprile 2013 per opera di uno sconosciuto su commissione dell’uomo con cui aveva avuto una tormentata relazione troncata nell’estate del 2012 a cui hanno fatto seguito ricatti, intimidazioni, calunnie, aggressioni, incidenti.
L’8 marzo 2014 il Capo dello Stato Giorgio Napolitano le ha
conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica:“Per il coraggio, la determinazione, la dignità con cui ha reagito alle gravi conseguenze fisiche dell’ignobile aggressione subita”.

(tratto da Io ci sono. La mia storia di “non” amore, di Lucia Annibali–2014. Edito da Rizzoli)

Il film



Un film che accende i riflettori sul femminicidio e sul dramma delle tante donne vittime di un “amore malato”. Cristiana Capotondi è Lucia Annibali, l’avvocatessa marchigiana sfregiata in volto dall’acido in un agguato commissionato dall’uomo che aveva lasciato al culmine di una relazione tormentata. 
Tratto dall’omonimo libro di Lucia Annibali e Giusi Fasano “Io ci sono – La mia storia di non amore” .
“Lucia è un eroe – dice Cristiana Capotondi – capace di affrontare il dolore con ironia e autoironia, con leggerezza, fino a ritrovare il sorriso. Interpretare questo ruolo è stata un’esperienza straordinaria sotto l’aspetto esistenziale oltre che professionale. Spero che questo film lo guardino molti uomini perché siamo noi a doverli accompagnare nel percorso di comprensione del cambiamento della donna. Loro sono spesso ancorati a modelli femminili arcaici”. Diverso il caso di Alessandro Averone, che ha dovuto interpretare lo sgradevole ruolo dell’ex fidanzato e collega Luca Varani, mandante dell’agguato. “Un ruolo ingrato – dice l’attore – non è stato affatto piacevole interpretarlo. Ci sono altri ‘cattivi’ nella storia della letteratura e del teatro che esercitano un certo fascino, ma non certamente Varani, per la sua pochezza. Ho mantenuto la recitazione sul filo dell’ambiguità, cercando di far capire che il male può arrivare anche da una persona con la faccia apparentemente pulita”. Alla presentazione parla anche Lucia Annibali e non nasconde la sua sofferenza:
Quell’aggressione un po’ mi ha uccisa perché la Lucia che vedete oggi non è quella che ero prima. Il viso con il quale ero nata e cresciuta nella mia famiglia, non mi verrà mai più restituito. Quando sono stata aggredita ho pensato di morire – dice – poi ho reagito scegliendo la vita, e quando si fa questo tipo di scelta, non si torna indietro. E’ faticoso, perché ci si porta dietro il peso di un dolore così grande, ma l’esperienza tragica va trasformata in qualcosa di positivo per sé e per gli altri
Il film ricostruisce un caso di efferata violenza sulle donne. Uno dei tanti, troppi, che ogni giorno riempiono d’inchiostro le pagine dei giornali, uno dei pochi in cui la vittima è riuscita a scampare sia alla morte fisica che a quella morale. Un film contro il femminicidio, ma anche un messaggio di speranza per tutte, la dimostrazione che dalle catene di un “amore malato” ci si può liberare.

Io ci sono, la trama

La sera del 16 aprile 2013 Lucia Annibali apre la porta del suo appartamento per rientrare a casa. Un uomo incappucciato la sta aspettando appena oltre la soglia, le lancia addosso del liquido e scappa via. Lucia sente la pelle che brucia e si deforma, pochi attimi e smette anche di vedere: le hanno tirato addosso dell’acido. Lucia non ha bisogno di farsi domande per sapere chi c’è dietro quel gesto: Luca Varani, un giovane avvocato con il quale aveva avuto una relazione tormentata. Stanca di bugie, l’aveva lasciato. E questo Luca evidentemente non poteva perdonarlo. Da quella sera inizia per Lucia un calvario di dolore e di operazioni. Ma accade anche qualcos’altro, di totalmente inaspettato. Quel gesto, che nell’idea dell’aggressore doveva annientarla, cancellarla dal mondo, diventa per Lucia l’occasione di una rinascita. Ogni cicatrice si trasforma in un punto di forza. Nella vita della nuova Lucia, più forte, più determinata, più coraggiosa, bella della sua dignità e del suo orgoglio, non ci sarà mai più spazio per una storia di non amore.





 


lunedì 30 maggio 2016

FEMMINICIDIO: VIOLENZA ANTICA E MEZZI NUOVI




Sara Di Pietrantonio, una giovane donna di 22 anni, è stata trovata semicarbonizzata nella periferia di Roma. Immediata la reazione del web: orrore, rabbia, accuse. Tutti ad indignarsi per questo nuovo caso di femminicidio.
Se ne parlerà ancora qualche giorno sui giornali, nei talk show televisivi con i soliti opinionisti, poi tutto sarà dimenticato fino alla prossima vittima che andrà ad accrescere il numeroso elenco delle donne uccise per mano di un innamorato perso.
Ormai conosciamo tutti il percorso comunicativo di queste notizie, al punto che ci siamo quasi abituati ad accettarle come normali, curiosi di seguire il caso come se si trattasse di una fiction, comodamente seduti sul divano di casa, al riparo di uno schermo che fissa il limite tra il dentro e il fuori, tra noi e gli altri.
Purtroppo non è una fiction, non è un giallo, non è un noir, è la realtà di cui facciamo parte e potremmo anche noi trovarci nello schermo se non cerchiamo la soluzione a quest’orrore che è diventato macroscopico.
Convegni, sportelli d’ascolto e d’aiuto, corsi di autodifesa sembrano essere solo palliativi, non risolvono il problema. Da più parti si chiedono pene più severe nella possibilità che abbiano la forza di agire da deterrente per porre freno a questa barbarie.
Barbarie è forse il termine più adatto a definire la condizione di ferocia con cui vengono commessi i delitti di genere, una ferocia sempre più bestiale perchè, se un tempo si ricorreva a un coltello o a una pistola, oggi si utilizza altro. Credo che bisogna partire proprio dall’analisi dei mezzi per capire il mutamento che è avvenuto nel rapporto uomo-donna.
Sara è stata arsa viva, altre sono state uccise con l’acido.
Qualcosa sta cambiando ed è su questo qualcosa che dobbiamo soffermare la nostra attenzione.
Usare il fuoco o l’acido è segno che c’è intenzione di distruggere un corpo, è il corpo l’oggetto amato e odiato al punto da non volerne lasciare traccia:la persona a cui appartiene deve scomparire, la storia che si è vissuta con lei va cancellata come se non fosse mai avvenuta.
Il fuoco, l’acido sono mezzi vigliacchi perché per uccidere con un coltello o una pistola occorre coraggio, si deve puntare, fissare la vittima e concedere alla stessa l’opportunità di accorgersi e prevenire il gesto. Con il fuoco, con l’acido no, basta lanciare il liquido a caso sul corpo, ovunque, non necessariamente su un punto vitale.  Ci si pone a distanza dalla morte, pur volendo uccidere.
È segno che c’è tutta l’intenzione ma non c’è il coraggio, è segno che il maschio assassino si sente in posizione nettamente inferiore rispetto alla donna-vittima.
Il maschio che esercita violenza è da sempre un individuo che si sente defraudato del suo ruolo, oggi si sente spodestato. Se prima esercitava atti di violenza per “correggere” un comportamento che disapprovava, oggi si sente privato dello spazio del dominio, uno spazio occupato da un corpo-persona che deve eliminare per liberare lo spazio. Un maschio che è rimasto indietro nella certezza del predominio e che ora non sa più quale è il suo ruolo.
A nulla serviranno le leggi, a nulla gli sportelli di aiuto, a nulla, se non si comprende che non è solo sulla donna che bisogna intervenire.
Occorre costruire l’uomo.

Michela Buonagura


http://www.linkabile.it/femminicidio-violenza-antica-e-mezzi-nuovi-il-commento-di-michela-buonagura/

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