Centauri:
esseri duali. Non soltanto erano insieme uomo e cavallo, avevano una doppia
natura: saggi e guaritori, ma anche violenti e stupratori. L'identità maschile
è scissa in animale (fecondatore) e civile (paternità) ben più di quanto lo sia
quella femminile. La sua polarità sociale non è frutto di lunga evoluzione, ma
recente e culturale. Quindi, più precaria. Con lo sprofondare del patriarcato
riemerge, nel pieno della postmodernità, il polo "rimosso": la natura
animale, simboleggiata dal cavallo. Come nel mito, irrompono patologie quale lo
stupro di gruppo, sconosciuto alle specie animali, testimone di una incapacità
di relazione risolta con la violenza.
Top secret. L'identità maschile rimane un sancta sanctorum. Un
luogo inaccessibile allo sguardo. E' il caro prezzo pagato in cambio
dell'abitudine a pensarsi - consapevolmente o meno - il detentore naturale del
potere, nella sfera privata della famiglia come in quella pubblica. Ancora oggi
si pensa che l'identità maschile sia soltanto una somma di predisposizioni
biologiche, di muscoli e corteccia cerebrale. Che, insomma, maschio si nasce e
non lo si diventa. E, invece, chissà, si potrebbe scoprire che il maschile è
una costruzione storica e magari neppure tanto solida. Anzi. Maschio si
diventa, e a prezzo di operazioni culturali sempre precarie, di scelte più o
meno sotterranee tra modelli, riferimenti e archetipi che mal s'accordano tra
loro. Per esempio, tra i due principi contrapposti di animalità e civiltà. Che
il maschio umano diventi un animale capace di socialità solo attraverso un
faticoso processo culturale lo sostiene Luigi Zoja, psicanalista e presidente
dell'associazione che raggruppa tutti gli analisti junghiani (Iaap), oltre che
del Centro italiano di psicologia analitica. La coesistenza tra la polarità
animale e la capacità di convivere con gli altri in società è cosa complicata
da ottenere. Un tema classico della psicanalisi da Freud in poi. Luigi Zoja se
n'è occupato in saggi recenti, Contro Ismene, Considerazioni sulla
violenza (Bollati Boringhieri) e La morte del prossimo (Einaudi),
ma è soprattutto ne II gesto di Ettore (uscito sempre per
Bollati nel 2000) che ha messo a fuoco l'identità maschile come il terreno di
lotta tra principi contrapposti. Lì era appunto la scomparsa del padre, il
rifiuto della figura paterna nel suo significato più positivo di educatore alla
civiltà, a spiegare il senso di un fallimento epocale, di una regressione del
maschio al polo opposto dell'animalità bestiale. Come nella figura mitologica
dei Centauri - tema di una relazione che Luigi Zoja ha tenuto venerdì scorso al
Festival della mente di Sarzana (fino ad oggi) - riemerge nel maschio contemporaneo
il polo rimosso dell'animale fecondatore, incapace di amare e di rapportarsi
all'altro e, per ciò stesso, incline alla patologia dello stupro.
Il modello
che in questa società riscuote più successo è quello del maschio che compete
per conquistare l'oggetto del desiderio prima degli altri rivali. L'esito
estremo di questa cultura è lo stupro. Perché è fallito l'altro modello, quello
del padre educatore alla convivenza civile?
Questo sarebbe l'altro aspetto di un lavoro sull'identità maschile. A
differenza dell'identità femminile in cui la "femmina" e la
"madre", le due dimensioni orizzontale e verticale, coesistono da
sempre, perché coesistono nella scala evolutiva in tutti gli animali man mano
che ci si avvicina agli esseri umani e continuano a coesistere in tutte le
civiltà primitive, moderne e postmoderne, quella maschile subisce invece degli
sbalzi notevoli. Fondamentalmente la parte paterna comincia con la cultura. Gli
animali più vicini a noi non hanno dei veri ruoli paterni, hanno soltanto il
maschio che compete per le femmine, si accoppia e non riconosce i propri figli,
non se ne occupa. Il padre è un'invenzione culturale. Il patriarcato è fragile,
anche dal punto di vista psicologico, proprio perché è una costruzione storica.
Nell'identità maschile le due polarità, "maschio competitivo animale"
e "padre", non sono ben sintetizzate poiché la figura paterna compare
nella scala evolutiva solo in tempi "recenti", nelle ultime centinaia
di migliaia di anni. Non è una cosa consolidata da sempre attraverso tutti i
passaggi dell'evoluzione come quella femminile. Il padre è un ruolo molto
relativo alla cultura. Il patriarcato è stato uno dei punti di forza e,
insieme, di debolezza dell'Occidente. Secondo me tutta la questione del
patriarcato è una questione di decadenza. Nel Gesto di Ettore criticavo i men
studies americani che parlavano tutti della crisi del padre e del patriarcato
ma facendola risalire al XX secolo. Io cercavo di notare che già la rivoluzione
francese, punto di arrivo dell'Illuminismo, proclama il motto liberté egalité
fraternità. Il legame più importante fra gli esseri umani è orizzontale, quello
dei fratelli si sostituisce, almeno nelle classi colte, come principio guida a
quello del patriarcato. La rivoluzione francese nei fatti comincia a limitare
il potere del padre. Fino ad allora la responsabilità dell'educazione ricadeva
sotto l'autorità del paterfamilias. Dalla rivoluzione francese in avanti viene
spostata invece sullo Stato.
La crisi del
padre ha creato un vuoto nell'identità maschile. Non sarà per questo che
l'identità maschile si è sbilanciata verso l'altro modello, verso l'animale
competitore?
Nel mio intervento al Festival della mente mi sono soffermato appunto
sull'altra polarità maschile, quella animale e selvaggia. Cerco di mettere a
fuoco il profilo del maschio aggressivo e violentatore. L'idea mi è venuta
osservando al Louvre le figure di Centauri che rapivano le donne. Mi sono
incuriosito. La figura mitologica del Centauro non ha compagne, l'unica cosa
che fa è rapire le donne. Mi sembrava una metafora mitica di quel che può
succedere quando il padre se ne va. Oggi siamo in una situazione del genere. La
scomparsa del padre non è avvenuta soltanto al livello delle istituzioni e
dello Stato, ma purtroppo anche al livello dell'uomo della strada, delle classi
medie e della cultura consumistica. Se dovessimo indagare come è cambiata, ad
esempio, la comunicazione dei giovani detenuti nelle carceri, scopriremmo che
fino a venticinque anni fa parlavano tutti della ragazza e mostravano
sentimenti di nostalgia. Oggi parlano soprattuttodella motocicletta e di
oggetti. Anche questo è significativo. C'è un atteggiamento di rapina nei
rapporti che si lega molto al consumismo ed è antitetico alla responsabilità
paterna, alla figura del padre nel senso positivo e costruttivo di
"guardiano della civiltà" che in gran parte abbiamo buttato via con
tutta l'acqua sporca del patriarcato.
In genere
associamo il maschio violentatore al prodotto più tipico del patriarcato, di un
ordine simbolico cioè fondato sul dominio maschile. Qui invece c'è un
rovesciamento di questa tesi Scopriamo che il maschio violentatore è il
prodotto della crisi del padre. O no?
La componente selvaggia e animalesca del maschile è proprio il non-padre. Il
maschio competitivo e rapinatore. Come psicanalista junghiano io parlo di
figure mitologiche, non punto l'attenzione sulle persone in carne e ossa. Parlo
di archetipi che dominano nella società. Questo maschio competitivo lo vediamo
molto attivo nel carattere delle donne in carriera, come si dice oggi.
La
televisione che oggi occupa quasi tutto lo spazio pubblico, non è la principale
"fabbrica di archetipi" di questo tipo?
Vero. Da un lato, la struttura
economica ipercompetitiva della società è un incoraggiamento a sviluppare
questa componente aggressiva della propria personalità per avere successo e, da
un altro lato, i mass media vendono questo modello come il più adatto in una
vita consumistica.
Non per fare del riduzionismo volgare però non crede che i casi di stupri
oggi siano figli di questa identità maschile non più capace di fare da padre?
E' molto difficile dire se gli
stupri siano aumentati. Le statistiche possono aiutarci solo fino a un certo
punto. Tra i risultati negativi dello stupro è proprio di far tacere le
persone, di creare un clima di inibizione, trauma e vergogna. Però è importante
che se ne parli ed è importante, a mio giudizio, metterlo in relazione con
tutto il problema storico dell'identità maschile. Date queste due polarità, il
maschio precivile e il padre, con lo sprofondare del padre - come nel gioco
della bilancia - sale invece l'altro.
Però così sembra che non il patriarcato c'entri qualcosa con lo stupro,
quanto invece - e paradossalmente - la sua crisi. Ma così si dimentica che il patriarcato
è un rapporto di dominio del maschile sul femminile. O no?
La direi in un altro modo. Il
patriarcato è già una struttura sociale o, addirittura, politica. Preferisco
parlare di crisi dell'identità paterna. C'è un ritorno a un'identità maschile di
tipo pre-paterno. La scomparsa del padre fa parte di una lenta decadenza. Il
punto più alto è stato toccato in Grecia e nell'antica Roma. Dopo di allora il
patriarcato è vissuto sulle glorie passate ma in realtà ha imboccato la strada
di una lenta crisi. L'Illuminismo - come dicevo prima - critica il patriarcato.
E il primo a scrivere del mito dell'Edipo non è Freud, ma Voltaire. Il padre va
in lenta decadenza. Ultimamente anche la struttura economica della società
tende a far emergere l'altra polarità maschile, cioè il maschio competitivo.
Anche questo è un altro aspetto della scomparsa della padre.
C'è da dire però che la scomparsa del padre non ha prodotto una grande
riflessione. A differenza di quanto è avvenuto con il femminismo non c'è stato
un approfondimento sull'identità maschile e i suoi cambiamenti. O no?
Non c'è stata una grande
riflessione. Infatti mi stupisce il relativo successo del mio libro, Il gesto
di Ettore che continua a essere venduto nonostante sia pubblicato da una casa
editrice abbastanza specialistica, Bollati Boringhieri. Conosco gruppi di
uomini ma fanno abbastanza poco. In America, invece, di riflessioni ce ne sono
anche troppe, seconde me scivolano sul sentimentale. In Europa ci lavorano
sopra gruppi un po' più colti ma rimangono comunque nelle nicchie della
società. Più in là queste riflessioni non vanno.
Insomma questa società ha la sua
base ideologica e materiale nell'archetipo del maschio fecondatore, animale e
competitore. Vero?
Per questo la metafora del Centauro
corrisponde al nostro tempo. E' completamente incapace di amore, sa solo
rapire. Il ratto significa sia rapimento che stupro. Il Centauro conosce solo
questa modalità di rapporto col femminile. Secondo me è una delle conseguenze
del consumismo e dei mass media. Anche se poi ci raccontano che i mass media
narrano storie hollywoodiane in cui vincono sempre i buoni. Non è vero per
niente. Nel messaggio hollywoodiano vince l'impazienza. Non la capacità
educativa, non la pazienza pedagogica, bensì la figura del maschio che va
subito allo scopo. Simbolicamente il maschio che rapisce la femmina e non si
impegna in un rapporto. Top secret. L'identità maschile rimane un sancta
sanctorum. Un luogo inaccessibile allo sguardo. E' il caro prezzo pagato in
cambio dell'abitudine a pensarsi - consapevolmente o meno - il detentore
naturale del potere, nella sfera privata della famiglia come in quella
pubblica. Ancora oggi si pensa che l'identità maschile sia soltanto una somma
di predisposizioni biologiche, di muscoli e corteccia cerebrale. Che, insomma,
maschio si nasce e non lo si diventa. E, invece, chissà, si potrebbe scoprire
che il maschile è una costruzione storica e magari neppure tanto solida. Anzi.
Maschio si diventa, e a prezzo di operazioni culturali sempre precarie, di
scelte più o meno sotterranee tra modelli, riferimenti e archetipi che mal
s'accordano tra loro. Per esempio, tra i due principi contrapposti di animalità
e civiltà. Che il maschio umano diventi un animale capace di socialità solo
attraverso un faticoso processo culturale lo sostiene Luigi Zoja, psicanalista
e presidente dell'associazione che raggruppa tutti gli analisti junghiani
(Iaap), oltre che del Centro italiano di psicologia analitica. La coesistenza
tra la polarità animale e la capacità di convivere con gli altri in società è
cosa complicata da ottenere. Un tema classico della psicanalisi da Freud in
poi. Luigi Zoja se n'è occupato in saggi recenti, Contro Ismene,
Considerazioni sulla violenza (Bollati Boringhieri) e La morte
del prossimo (Einaudi), ma è soprattutto ne II gesto di Ettore (uscito
sempre per Bollati nel 2000) che ha messo a fuoco l'identità maschile come il
terreno di lotta tra principi contrapposti. Lì era appunto la scomparsa del
padre, il rifiuto della figura paterna nel suo significato più positivo di
educatore alla civiltà, a spiegare il senso di un fallimento epocale, di una
regressione del maschio al polo opposto dell'animalità bestiale. Come nella
figura mitologica dei Centauri - tema di una relazione che Luigi Zoja ha tenuto
venerdì scorso al Festival della mente di Sarzana (fino ad oggi) - riemerge nel
maschio contemporaneo il polo rimosso dell'animale fecondatore, incapace di
amare e di rapportarsi all'altro e, per ciò stesso, incline alla patologia
dello stupro.
Il modello che in questa società
riscuote più successo è quello del maschio che compete per conquistare
l'oggetto del desiderio prima degli altri rivali. L'esito estremo di questa
cultura è lo stupro. Perché è fallito l'altro modello, quello del padre
educatore alla convivenza civile?
Questo sarebbe l'altro aspetto di un lavoro sull'identità maschile. A
differenza dell'identità femminile in cui la "femmina" e la
"madre", le due dimensioni orizzontale e verticale, coesistono da
sempre, perché coesistono nella scala evolutiva in tutti gli animali man mano
che ci si avvicina agli esseri umani e continuano a coesistere in tutte le
civiltà primitive, moderne e postmoderne, quella maschile subisce invece degli
sbalzi notevoli. Fondamentalmente la parte paterna comincia con la cultura. Gli
animali più vicini a noi non hanno dei veri ruoli paterni, hanno soltanto il
maschio che compete per le femmine, si accoppia e non riconosce i propri figli,
non se ne occupa. Il padre è un'invenzione culturale. Il patriarcato è fragile,
anche dal punto di vista psicologico, proprio perché è una costruzione storica.
Nell'identità maschile le due polarità, "maschio competitivo animale"
e "padre", non sono ben sintetizzate poiché la figura paterna compare
nella scala evolutiva solo in tempi "recenti", nelle ultime centinaia
di migliaia di anni. Non è una cosa consolidata da sempre attraverso tutti i
passaggi dell'evoluzione come quella femminile. Il padre è un ruolo molto
relativo alla cultura. Il patriarcato è stato uno dei punti di forza e, insieme,
di debolezza dell'Occidente. Secondo me tutta la questione del patriarcato è
una questione di decadenza. Nel Gesto di Ettore criticavo i men studies
americani che parlavano tutti della crisi del padre e del patriarcato ma
facendola risalire al XX secolo. Io cercavo di notare che già la rivoluzione
francese, punto di arrivo dell'Illuminismo, proclama il motto liberté egalité
fraternità. Il legame più importante fra gli esseri umani è orizzontale, quello
dei fratelli si sostituisce, almeno nelle classi colte, come principio guida a
quello del patriarcato. La rivoluzione francese nei fatti comincia a limitare
il potere del padre. Fino ad allora la responsabilità dell'educazione ricadeva
sotto l'autorità del paterfamilias. Dalla rivoluzione francese in avanti viene
spostata invece sullo Stato.
La crisi del padre ha
creato un vuoto nell'identità maschile. Non sarà per questo che l'identità
maschile si è sbilanciata verso l'altro modello, verso l'animale competitore?
Nel mio intervento al Festival della mente mi sono soffermato appunto
sull'altra polarità maschile, quella animale e selvaggia. Cerco di mettere a
fuoco il profilo del maschio aggressivo e violentatore. L'idea mi è venuta
osservando al Louvre le figure di Centauri che rapivano le donne. Mi sono incuriosito.
La figura mitologica del Centauro non ha compagne, l'unica cosa che fa è rapire
le donne. Mi sembrava una metafora mitica di quel che può succedere quando il
padre se ne va. Oggi siamo in una situazione del genere. La scomparsa del padre
non è avvenuta soltanto al livello delle istituzioni e dello Stato, ma
purtroppo anche al livello dell'uomo della strada, delle classi medie e della
cultura consumistica. Se dovessimo indagare come è cambiata, ad esempio, la
comunicazione dei giovani detenuti nelle carceri, scopriremmo che fino a
venticinque anni fa parlavano tutti della ragazza e mostravano sentimenti di
nostalgia. Oggi parlano soprattutto della motocicletta e di oggetti. Anche
questo è significativo. C'è un atteggiamento di rapina nei rapporti che si lega
molto al consumismo ed è antitetico alla responsabilità paterna, alla figura
del padre nel senso positivo e costruttivo di "guardiano della
civiltà" che in gran parte abbiamo buttato via con tutta l'acqua sporca
del patriarcato.
In genere associamo il maschio violentatore al prodotto più tipico del
patriarcato, di un ordine simbolico cioè fondato sul dominio maschile. Qui
invece c'è un rovesciamento di questa tesi Scopriamo che il maschio
violentatore è il prodotto della crisi del padre. O no?
La componente selvaggia e animalesca del maschile è proprio il non-padre. Il
maschio competitivo e rapinatore. Come psicanalista junghiano io parlo di
figure mitologiche, non punto l'attenzione sulle persone in carne e ossa. Parlo
di archetipi che dominano nella società. Questo maschio competitivo lo vediamo
molto attivo nel carattere delle donne in carriera, come si dice oggi.
La televisione che oggi occupa quasi tutto lo spazio pubblico, non è la
principale "fabbrica di archetipi" di questo tipo? Vero. Da un
lato, la struttura economica ipercompetitiva della società è un incoraggiamento
a sviluppare questa componente aggressiva della propria personalità per avere
successo e, da un altro lato, i mass media vendono questo modello come il più
adatto in una vita consumistica.
Non per fare del riduzionismo volgare però non crede che i casi di stupri
oggi siano figli di questa identità maschile non più capace di fare da
padre? E' molto difficile dire se gli stupri siano aumentati. Le
statistiche possono aiutarci solo fino a un certo punto. Tra i risultati
negativi dello stupro è proprio di far tacere le persone, di creare un clima di
inibizione, trauma e vergogna. Però è importante che se ne parli ed è
importante, a mio giudizio, metterlo in relazione con tutto il problema storico
dell'identità maschile. Date queste due polarità, il maschio precivile e il
padre, con lo sprofondare del padre - come nel gioco della bilancia - sale
invece l'altro.
Però così sembra che non il
patriarcato c'entri qualcosa con lo stupro, quanto invece - e paradossalmente -
la sua crisi. Ma così si dimentica che il patriarcato è un rapporto di dominio
del maschile sul femminile. O no? La direi in un altro modo. Il
patriarcato è già una struttura sociale o, addirittura, politica. Preferisco
parlare di crisi dell'identità paterna. C'è un ritorno a un'identità maschile
di tipo pre-paterno. La scomparsa del padre fa parte di una lenta decadenza. Il
punto più alto è stato toccato in Grecia e nell'antica Roma. Dopo di allora il
patriarcato è vissuto sulle glorie passate ma in realtà ha imboccato la strada
di una lenta crisi. L'Illuminismo - come dicevo prima - critica il patriarcato.
E il primo a scrivere del mito dell'Edipo non è Freud, ma Voltaire. Il padre va
in lenta decadenza. Ultimamente anche la struttura economica della società
tende a far emergere l'altra polarità maschile, cioè il maschio competitivo.
Anche questo è un altro aspetto della scomparsa della padre.
C'è da dire però che la scomparsa
del padre non ha prodotto una grande riflessione. A differenza di quanto è
avvenuto con il femminismo non c'è stato un approfondimento sull'identità
maschile e i suoi cambiamenti. O no? Non c'è stata una grande
riflessione. Infatti mi stupisce il relativo successo del mio libro, Il gesto
di Ettore che continua a essere venduto nonostante sia pubblicato da una casa
editrice abbastanza specialistica, Bollati Boringhieri. Conosco gruppi di
uomini ma fanno abbastanza poco. In America, invece, di riflessioni ce ne sono
anche troppe, seconde me scivolano sul sentimentale. In Europa ci lavorano
sopra gruppi un po' più colti ma rimangono comunque nelle nicchie della
società. Più in là queste riflessioni non vanno.
Insomma questa società ha la sua base ideologica e materiale nell'archetipo
del maschio fecondatore, animale e competitore. Vero? Per questo la
metafora del Centauro corrisponde al nostro tempo. E' completamente incapace di
amore, sa solo rapire. Il ratto significa sia rapimento che stupro. Il Centauro
conosce solo questa modalità di rapporto col femminile. Secondo me è una delle
conseguenze del consumismo e dei mass media. Anche se poi ci raccontano che i
mass media narrano storie hollywoodiane in cui vincono sempre i buoni. Non è
vero per niente. Nel messaggio hollywoodiano vince l'impazienza. Non la
capacità educativa, non la pazienza pedagogica, bensì la figura del maschio che
va subito allo scopo. Simbolicamente il maschio che rapisce la femmina e non si
impegna in un rapporto.
Da un'intervista a Luigi Zoja psicanalista e presidente dell'associazione
analisti junghiani, in seguito ad una sua relazione al Festival della
mente di Sarzana.
Vera Innocenti
http://www.festivaldellamente.it/audio/audio.asp