venerdì 27 febbraio 2015

IL DRAMMA DELLE SPOSE BAMBINE



Una giovane sposa pakistana.

Oltre 700 milioni di donne sono state date in matrimonio prima dei 18 anni. Abbandonano così la scuola prima del tempo, hanno gravidanze precoci e restano escluse dalla vita sociale della propria comunità.


“Mi hanno data a mio marito quando ero bambina e non ricordo nulla perché ero davvero troppo piccola. È stato mio marito a crescermi”. Kanas, una ragazza etiope che oggi ha 18 anni, si è raccontata con queste parole alla fotografa americana Stephanie Sinclair, autrice di un ampio lavoro per immagini e video in vari Paesi del mondo, che è diventato la mostra itinerante Too Young to Wed (“Troppo giovane per sposarsi”) sostenuta dall’Onu per sensibilizzare su un problema globale che è la radice di un circolo vizioso di degrado e sottosviluppo. Le ragazze date in spose da piccole abbandonano la scuola, hanno gravidanze precoci che le espongono a seri rischi sanitari e restano escluse dalla vita economica e sociale delle loro comunità.

Quante e dove
Secondo l’Unicef nei Paesi in via di sviluppo circa 700 milioni di donne oggi adulte sono diventate mogli prima dei 18 anni e, di queste, una su tre ha contratto matrimonio prima dei 15. Ogni anno la gravidanza o il parto uccidono 70 mila adolescenti il cui corpo è troppo acerbo per generare nuove vite e dal 2003 a oggi c’è stato solo un leggero decremento, pari al 9%, dei matrimoni precoci. L’Unicef ha elaborato una statistica mondiale considerando donne che oggi hanno dai 20 ai 24 anni e che si sono sposate prima dei 18: in cima alla triste classifica c’è il Niger, dove il 76% delle 20-24enni ha subito un matrimonio precoce, seguito dalla Repubblica Centrafricana (68%), dal Chad (68%), dal Bangladesh (65%), dal Mali (55%) e dal Sud Sudan (52%). L’India, che ha una percentuale di spose bambine del 47%, detiene però il primato in termini assoluti, con oltre 10 milioni di donne sposate prima dei 15 anni. Seguono il Bangladesh (2 milioni e 300 mila), la Nigeria (oltre un milione e 100 mila), il Brasile (877 mila), l’Etiopia (673 mila) e il Pakistan (600 mila). Circa la metà delle giovanissime spose vive in Asia meridionale, e una su tre in India, dove si è verificato un calo delle bambine accasate prima dei 15 anni (dal 23.5% al 18.2%) ma nel frattempo sono aumentati i matrimoni delle ragazze tra i 15 e i 18 anni (dal 26.7% al 29.2%). In Africa subsahariana, l’Unicef prevede che il numero delle spose bambine raddoppierà entro il 2050, e sarà la Nigeria a registrare il numero assoluto più alto nel continente.
Perché
Fattori economici si intersecano a tradizioni di subalternità femminili. Nelle aree più povere del pianeta, far sposare la propria bambina significa ricevere una dote dalla famiglia del marito, e laddove le figlie femmine non vengono mandate a scuola, è quasi naturale che diventino mogli da giovanissime, anche per la convinzione dei genitori di difendere in questo modo il loro onore. L’istruzione è un indicatore chiave: in Nigeria, per esempio, l’82% delle donne analfabete si sono sposate da minorenni.

Come agire
Girls Not Brides (“Ragazze, non spose”) è una campagna globale con base a Londra che riunisce oltre 400 organizzazioni della società civile impegnate a sradicare la pratica dei matrimoni precoci in vari Paesi. E l’emergenza di oggi è l’aumento delle spose bambine tra le famiglie siriane rifugiate in Giordania, che in questo modo cercano di ridurre il proprio carico economico e di proteggere le figlie dalle violenze sessuali.
Emanuela Zuccalà

Per informazioni:
info@GirlsNotBrides.org

sabato 21 febbraio 2015

STALKING


" Stalker” significa “predatore”, infatti il comportamento di un felino che attacca ha delle caratteristiche ben precise che ora andiamo ad elencare.
Quando un felino decide di aggredire non lo fa alla rinfusa, ma in modo razionale e premeditato, pertanto la sua prima mossa sarà l’ ”osservazione”, cioè l’identificazione della preda migliore. Non sceglierà mai un capo branco, ma un cucciolo o un anziano, oppure un animale ferito, stremato, già provato da altre lotte. Lo stalker fa la stessa cosa. Non si butta nella mischia, ma sceglie la persona con astuzia, non a caso le vittime di stalking sono tutte sensibili, altruiste, con valori alti. In genere sono anche persone con un passato di dolore o che stanno vivendo una condizione di depressione, di forte fragilità emotiva. Questo dato non è assolutamente casuale. La vittima ha bisogno di sentirsi protetta da qualcuno che sia forte. Ed è esattamente in questo modo che il predatore si mostra.
Nell’istante in cui decide di attaccare, il felino non inizia subito a correre, rischierebbe di perdere il suo boccone, perché gli altri componenti del branco proteggerebbero la preda in questione. Usa al contrario delle tattiche sottili, si avvicina pian piano, cerca di smembrare il gruppo, di separare la preda dagli altri, di generare caos, di confondere e creare panico. Stesso dicasi per lo stalker, che si avvicina piano, come il felino, proponendosi come “uno qualunque”, innocuo, pacifico, evitando che la sua vittima nutra diffidenza. Egli la conquista con modi gentili, affabili, tanto da sembrare protettivo e suo complice. In seguito, proprio come il felino, “smembra il gruppo”, “separa la preda dagli altri”. Questo momento è dato dall’isolamento che inizialmente la vittima confonde con la protezione; per isolamento si intende l’allontanamento da tutte le persone, dai familiari, dagli amici, dal lavoro, da ogni forma di socializzazione.
Successivamente, il felino “genera caos, confonde, solleva polveroni, provoca panico”. Questo momento è cruciale, il sollevare polveroni, il confondere il branco e scatenare il panico, per lo stalker significa spaventare gli altri attraverso la diffamazione nei confronti della vittima. La vittima viene del tutto isolata poiché presentata come sporca, incapace, malata, piena di disturbi, disonesta e pericolosa.
Come può uno stalker riuscire a fare tutto questo? Inizia a costruire delle prove attraverso informazioni prese durante il primo momento dell’osservazione. Il felino quando studia la sua preda riesce a cogliere i suoi punti deboli ed è su quei limiti che fa leva per agire nel migliore dei modi.
Nel caso dello stalking, i limiti della vittima sono le sue stesse confidenze che però vengono abilmente manipolate e presentate agli altri con significati distorti, completamente alterati. Tutto questo si chiama “diffamazione”, portata abilmente avanti da un lupo che si presenta come agnello. Ecco che la vittima diventa carnefice ed il carnefice la vittima.
Questo processo si fa sempre più crescente e morboso, entra nella mente della collettività, degli amici, dei familiari, determinando un vero e proprio “plagio” che si conclude esattamente con quell’isolamento.
Isolare una vittima equivale a controllarla, a gestirla, a distruggerla. Nasce così la “persecuzione”.
Quando la preda è ormai sola scatta la rincorsa, il felino finalmente parte e comincia ad inseguirla. A questo punto tre sono le possibilità:
1 qualcuno interviene a salvarla, un altro animale coraggioso e robusto, ma si tratta di una rarità, poiché quando la vittima è stata isolata, gli altri animali stanno scappando in preda al terrore e non tornerebbero mai indietro per salvare il malcapitato.
2 La preda impiega tutte le sue forze e trova da sé un modo per nascondersi, per sfuggire all’attacco. Una volta riuscita nell’intento dovrà ritrovare il suo branco e farsi riaccettare. Senza dubbio sarà provata, ferita, indebolita, pertanto dovrà necessariamente affidarsi alle sue stesse risorse personali per sopravvivere.
3 Verrà inevitabilmente uccisa o lesa gravemente.
Quando una vittima muore allora avviene il risveglio dal plagio, scatta il senso di colpa e la consapevolezza di aver abbandonato chi non meritava di certo quella morte. La morte di cui si parla non è soltanto quella fisica, ma anche quella psicologica, quella sociale. Talvolta tutte insieme, poiché non è raro che una persona diffamata tenti il suicidio, affranta da un dolore insopportabile.
La diffamazione genera l’abbandono, che si esplica attraverso l’omertà, l’indifferenza, l’emarginazione, il disprezzo gratuito. Tutto questo è possibile perché l’essere umano si affida al pregiudizio e non al proprio patos. L’empatia, che significa “soffrire insieme”, non è più un tratto genetico dell’anima, perché è stato perduto nel tempo attraverso una modifica provocata dal mondo esterno. Un mondo mediocre, una grossa iniezione di superficialità e di messaggi legati al piacere, al profitto.
Questa overdose ci ha resi impermeabili al dolore altrui, ecco perché la violenza si apre a macchia d’olio.
Esiste tuttavia una distinzione tra il vero lupo ed il vero agnello, si tratta di caratteristiche che si possono individuare comprendendole bene.
Cosa fa uno stalker che non farebbe mai una vittima?
1 Uno stalker ha la mania di parlare con tutti, nella realtà telefona, contatta morbosamente i conoscenti più stretti della vittima. Nella piattaforma virtuale (facebook) scrive privatamente, mette in guardia chiunque da quella determinata persona. Presenta un quadro della situazione convincente, avvalendosi di prove che sono frutto di manipolazione o totalmente costruite, inventate. Di solito un bugiardo per rendere credibile la sua versione falsa, parte da una realtà vera, da un episodio esistente. Tutto quello che ricama intorno a quella base è distorsione allo stato puro. In altre situazioni, ancora più diaboliche, il carnefice interagisce con la vittima proprio per trovare delle verifiche che compromettano gravemente la reputazione della sua preda.
In questo modo fa regali, offre con insistenza soldi, gioielli, fiori, ricariche telefoniche. Sono tutti doni imposti e che la vittima accetta per timidezza o perché non può farne a meno.
Quei regali verranno successivamente trasformati in “ricatto” e presentati agli altri come “prove”, delle sue manipolazioni. Ecco che scatta l’estorsione, la minaccia e la diffamazione.
La vittima verrà ritenuta da tutti un’approfittatrice, un’imbrogliona, un’opportunista, mentre il manipolatore risulterà essere ingannato, addolorato, ferito e mortificato.
Una vera vittima non telefona agli amici del suo bersaglio, non si procura il numero di telefono dei suoi parenti, dei fratelli, dei figli. Non contatta i collaboratori della sua preda (mobbing) .Una vittima può fare l’errore di entrare in panico, di arrancare in una disperata difesa personale, tentando di convincere coloro che l’hanno abbandonata che è innocente. Di solito non ci riesce, poiché coloro che l’hanno lasciata, non soltanto non le hanno dato spiegazioni, ma hanno rotto ogni dialogo con lei e non accetteranno repliche, essendosi affidati alle menzogne sul suo conto.
Una vera vittima non parla male degli altri, questo è il primo segnale. Quando qualcuno inizierà a mettervi in allarme, a diffamare in modo grave un vostro conoscente, sappiate che ha sempre uno scopo, che è quello di far del male a qualcuno. Chi parla male non ha mai subito, iniziate da questa consapevolezza. Nessuna vittima fa questo, la diffamazione appartiene a menti diaboliche, non a chi soffre.
Se si impara a capire questi meccanismi, allora diviene possibile un cammino di ricostruzione della verità e di salvaguardia della giustizia. Non è la legge che ha in mano la soluzione di questi meccanismi perversi, ma la mente delle persone.

(Tratto da un saggio sulla corruzione, scritto da Eleonora Giovannini)







sabato 14 febbraio 2015

NESSUN'ALTRA MANO D'UOMO LA TOCCHI PIÙ



Centinaia di donne turche hanno sfidato l'imam di Mersin che aveva chiesto loro di stare in disparte durante la cerimonia funebre di Ozgecan Aslan, uccisa a vent'anni durante un tentativo di stupro. Tra le migliaia di persone presenti al funerale, infatti, le donne hanno disubbidito all'imam e partecipato alla preghiera funebre in prima linea, portando a spalla la bara di Aslan. Il cadavere carbonizzato di Aslan è stato scoperto ieri in un fiume vicino al distretto di Tarso nella provincia meridionale di Mersin. 

ISTANBUL - Dall'intervista alla scrittrice turca ELIF Shafak 
Repubblica - 24 febbraio 2015 -

Violenze sessuali ogni giorno. Molte nascoste. Ma perché qui?

"La Turchia è un Paese patriarcale. Lo è sempre stato. Ma sta diventando ancora più conservatore e dominato dagli uomini. La politica turca è maschilista, aggressiva, litigiosa. Non dimentichiamoci che la Turchia ha il più basso tasso di rappresentazione femminile in politica. I politici amano parlare, ma poche iniziative sono state prese per dare aiuti finanziari, psicologici e sociali alle donne abusate. È ovvio che "la violenza contro le donne" non sia una priorità per il governo. Ma per milioni di donne invece lo è!".

Durante i funerali di Ozgecan l'imam ha detto alle donne di stare indietro, secondo la tradizione religiosa. Loro però hanno reagito e circondato la bara. In Turchia le donne stanno reagendo. È un segnale?

"Secondo le regole prevalenti dell'Islam in Turchia le donne ai funerali devono lasciare portare il feretro agli uomini che conducono la preghiera. Ma questa volta, nonostante tutti gli avvertimenti dell'imam, le donne si sono rifiutate di farlo. Non lo hanno ascoltato. Hanno detto: "Nessun'altra mano di uomo la tocchi più". E hanno caricato loro stesse la bara. 

Gli analisti di politica internazionale non hanno colto questo aspetto

Sono così concentrati sulla politica che non hanno fatto attenzione a come sta cambiando la società turca. Oggi qui le donne stanno diventando più politicizzate degli uomini. Durante gli eventi di Gezi Park, metà di quelli che protestavano erano donne. E le donne sono più forti nell'opporsi all'autoritarismo e al sessismo perché sanno di non avere più niente da perdere"

Il ministro della Famiglia, Aysenur Islam, ha detto che le leggi sulle donne sono sufficienti. Non è che i politici stiano davvero sottostimando il problema?

"La legislazione sulle donne non è sufficiente. I quadri dirigenti del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) hanno fallito nel vedere il gap fra le loro prospettive e la realtà di un numero crescente di donne in Turchia. Il governo si è allontanato dalle donne moderne. Nella sua carriera politica Recep Tayyip Erdogan ha fatto troppe dichiarazioni sulle vite private delle donne, sull'aborto, su quanti figli dovrebbero avere, eccetera. Ha pure detto di non credere nell'uguaglianza dei sessi. Dopo l'omicidio di Ozgecan, il Capo dello Stato ha criticato le femministe, rimproverandole di "danzare" invece di "pregare". Risolveremo il problema del genere in Turchia criticando le femministe? Un esponente dell'Akp ha detto: "Uno stupratore è più innocente di una vittima dello stupro che sceglie di abortire" ".

Lei che cosa propone?

"Esprimo emozioni, pensieri e critiche attraverso le parole. Combatto il sessismo, l'omofobia e la xenofobia con le parole. Scrivo articoli, libri, dò conferenze, sostengo campagne... ma naturalmente tutto questo non è abbastanza. Dopo Ozgecan, dobbiamo lavorare ancora più duramente. E come donne dobbiamo parlare più forte".

Gli uomini l'hanno sorpresa con l'iniziativa di solidarizzare indossando le gonne?

"Questo omicidio ha oltraggiato molti uomini in Turchia, specialmente i giovani. Sui social media ci sono state campagne interessanti. Ma dobbiamo ricordare che qui, poiché la libertà di stampa è limitata, sono i social media a essere diventati una piattaforma politica. Allora si sono visti gli uomini per strada indossare le gonne per protestare contro il sessismo. È stata una delle proteste sociali più creative. Abbiamo bisogno di più uomini che si facciano avanti e si pongano domande sul maschilismo. Uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, devono unire le forze contro gli atteggiamenti patriarcali e il sessismo".
Centinaia di donne turche hanno sfidato l'imam di Mersin che aveva chiesto loro di stare in disparte durante la cerimonia funebre di Ozgecan Aslan, uccisa a vent'anni durante un tentativo di stupro. Tra le migliaia di persone presenti al funerale, infatti, le donne hanno disubbidito all'imam e partecipato alla preghiera funebre in prima linea, portando a spalla la bara di Aslan. Il cadavere carbonizzato di Aslan è stato scoperto ieri in un fiume vicino al distretto di Tarso nella provincia meridionale di Mersin. - See more at: http://www.generazioni.net/azionidigenere/nessunaltra-mano-duomo-la-tocchi-pi%C3%B9#sthash.w1oU7JhP.dpuf