sabato 21 febbraio 2015

STALKING


" Stalker” significa “predatore”, infatti il comportamento di un felino che attacca ha delle caratteristiche ben precise che ora andiamo ad elencare.
Quando un felino decide di aggredire non lo fa alla rinfusa, ma in modo razionale e premeditato, pertanto la sua prima mossa sarà l’ ”osservazione”, cioè l’identificazione della preda migliore. Non sceglierà mai un capo branco, ma un cucciolo o un anziano, oppure un animale ferito, stremato, già provato da altre lotte. Lo stalker fa la stessa cosa. Non si butta nella mischia, ma sceglie la persona con astuzia, non a caso le vittime di stalking sono tutte sensibili, altruiste, con valori alti. In genere sono anche persone con un passato di dolore o che stanno vivendo una condizione di depressione, di forte fragilità emotiva. Questo dato non è assolutamente casuale. La vittima ha bisogno di sentirsi protetta da qualcuno che sia forte. Ed è esattamente in questo modo che il predatore si mostra.
Nell’istante in cui decide di attaccare, il felino non inizia subito a correre, rischierebbe di perdere il suo boccone, perché gli altri componenti del branco proteggerebbero la preda in questione. Usa al contrario delle tattiche sottili, si avvicina pian piano, cerca di smembrare il gruppo, di separare la preda dagli altri, di generare caos, di confondere e creare panico. Stesso dicasi per lo stalker, che si avvicina piano, come il felino, proponendosi come “uno qualunque”, innocuo, pacifico, evitando che la sua vittima nutra diffidenza. Egli la conquista con modi gentili, affabili, tanto da sembrare protettivo e suo complice. In seguito, proprio come il felino, “smembra il gruppo”, “separa la preda dagli altri”. Questo momento è dato dall’isolamento che inizialmente la vittima confonde con la protezione; per isolamento si intende l’allontanamento da tutte le persone, dai familiari, dagli amici, dal lavoro, da ogni forma di socializzazione.
Successivamente, il felino “genera caos, confonde, solleva polveroni, provoca panico”. Questo momento è cruciale, il sollevare polveroni, il confondere il branco e scatenare il panico, per lo stalker significa spaventare gli altri attraverso la diffamazione nei confronti della vittima. La vittima viene del tutto isolata poiché presentata come sporca, incapace, malata, piena di disturbi, disonesta e pericolosa.
Come può uno stalker riuscire a fare tutto questo? Inizia a costruire delle prove attraverso informazioni prese durante il primo momento dell’osservazione. Il felino quando studia la sua preda riesce a cogliere i suoi punti deboli ed è su quei limiti che fa leva per agire nel migliore dei modi.
Nel caso dello stalking, i limiti della vittima sono le sue stesse confidenze che però vengono abilmente manipolate e presentate agli altri con significati distorti, completamente alterati. Tutto questo si chiama “diffamazione”, portata abilmente avanti da un lupo che si presenta come agnello. Ecco che la vittima diventa carnefice ed il carnefice la vittima.
Questo processo si fa sempre più crescente e morboso, entra nella mente della collettività, degli amici, dei familiari, determinando un vero e proprio “plagio” che si conclude esattamente con quell’isolamento.
Isolare una vittima equivale a controllarla, a gestirla, a distruggerla. Nasce così la “persecuzione”.
Quando la preda è ormai sola scatta la rincorsa, il felino finalmente parte e comincia ad inseguirla. A questo punto tre sono le possibilità:
1 qualcuno interviene a salvarla, un altro animale coraggioso e robusto, ma si tratta di una rarità, poiché quando la vittima è stata isolata, gli altri animali stanno scappando in preda al terrore e non tornerebbero mai indietro per salvare il malcapitato.
2 La preda impiega tutte le sue forze e trova da sé un modo per nascondersi, per sfuggire all’attacco. Una volta riuscita nell’intento dovrà ritrovare il suo branco e farsi riaccettare. Senza dubbio sarà provata, ferita, indebolita, pertanto dovrà necessariamente affidarsi alle sue stesse risorse personali per sopravvivere.
3 Verrà inevitabilmente uccisa o lesa gravemente.
Quando una vittima muore allora avviene il risveglio dal plagio, scatta il senso di colpa e la consapevolezza di aver abbandonato chi non meritava di certo quella morte. La morte di cui si parla non è soltanto quella fisica, ma anche quella psicologica, quella sociale. Talvolta tutte insieme, poiché non è raro che una persona diffamata tenti il suicidio, affranta da un dolore insopportabile.
La diffamazione genera l’abbandono, che si esplica attraverso l’omertà, l’indifferenza, l’emarginazione, il disprezzo gratuito. Tutto questo è possibile perché l’essere umano si affida al pregiudizio e non al proprio patos. L’empatia, che significa “soffrire insieme”, non è più un tratto genetico dell’anima, perché è stato perduto nel tempo attraverso una modifica provocata dal mondo esterno. Un mondo mediocre, una grossa iniezione di superficialità e di messaggi legati al piacere, al profitto.
Questa overdose ci ha resi impermeabili al dolore altrui, ecco perché la violenza si apre a macchia d’olio.
Esiste tuttavia una distinzione tra il vero lupo ed il vero agnello, si tratta di caratteristiche che si possono individuare comprendendole bene.
Cosa fa uno stalker che non farebbe mai una vittima?
1 Uno stalker ha la mania di parlare con tutti, nella realtà telefona, contatta morbosamente i conoscenti più stretti della vittima. Nella piattaforma virtuale (facebook) scrive privatamente, mette in guardia chiunque da quella determinata persona. Presenta un quadro della situazione convincente, avvalendosi di prove che sono frutto di manipolazione o totalmente costruite, inventate. Di solito un bugiardo per rendere credibile la sua versione falsa, parte da una realtà vera, da un episodio esistente. Tutto quello che ricama intorno a quella base è distorsione allo stato puro. In altre situazioni, ancora più diaboliche, il carnefice interagisce con la vittima proprio per trovare delle verifiche che compromettano gravemente la reputazione della sua preda.
In questo modo fa regali, offre con insistenza soldi, gioielli, fiori, ricariche telefoniche. Sono tutti doni imposti e che la vittima accetta per timidezza o perché non può farne a meno.
Quei regali verranno successivamente trasformati in “ricatto” e presentati agli altri come “prove”, delle sue manipolazioni. Ecco che scatta l’estorsione, la minaccia e la diffamazione.
La vittima verrà ritenuta da tutti un’approfittatrice, un’imbrogliona, un’opportunista, mentre il manipolatore risulterà essere ingannato, addolorato, ferito e mortificato.
Una vera vittima non telefona agli amici del suo bersaglio, non si procura il numero di telefono dei suoi parenti, dei fratelli, dei figli. Non contatta i collaboratori della sua preda (mobbing) .Una vittima può fare l’errore di entrare in panico, di arrancare in una disperata difesa personale, tentando di convincere coloro che l’hanno abbandonata che è innocente. Di solito non ci riesce, poiché coloro che l’hanno lasciata, non soltanto non le hanno dato spiegazioni, ma hanno rotto ogni dialogo con lei e non accetteranno repliche, essendosi affidati alle menzogne sul suo conto.
Una vera vittima non parla male degli altri, questo è il primo segnale. Quando qualcuno inizierà a mettervi in allarme, a diffamare in modo grave un vostro conoscente, sappiate che ha sempre uno scopo, che è quello di far del male a qualcuno. Chi parla male non ha mai subito, iniziate da questa consapevolezza. Nessuna vittima fa questo, la diffamazione appartiene a menti diaboliche, non a chi soffre.
Se si impara a capire questi meccanismi, allora diviene possibile un cammino di ricostruzione della verità e di salvaguardia della giustizia. Non è la legge che ha in mano la soluzione di questi meccanismi perversi, ma la mente delle persone.

(Tratto da un saggio sulla corruzione, scritto da Eleonora Giovannini)







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