" Stalker” significa “predatore”, infatti il comportamento di un felino che attacca ha delle caratteristiche ben precise che ora andiamo ad elencare.
Quando
un felino decide di aggredire non lo fa alla rinfusa, ma in modo razionale e
premeditato, pertanto la sua prima mossa sarà l’ ”osservazione”, cioè
l’identificazione della preda migliore. Non sceglierà mai un capo branco, ma un
cucciolo o un anziano, oppure un animale ferito, stremato, già provato da altre
lotte. Lo stalker fa la stessa cosa. Non si butta nella mischia, ma sceglie la
persona con astuzia, non a caso le vittime di stalking sono tutte sensibili,
altruiste, con valori alti. In genere sono anche persone con un passato di
dolore o che stanno vivendo una condizione di depressione, di forte fragilità
emotiva. Questo dato non è assolutamente casuale. La vittima ha bisogno di
sentirsi protetta da qualcuno che sia forte. Ed è esattamente in questo modo
che il predatore si mostra.
Nell’istante
in cui decide di attaccare, il felino non inizia subito a correre, rischierebbe
di perdere il suo boccone, perché gli altri componenti del branco
proteggerebbero la preda in questione. Usa al contrario delle tattiche sottili,
si avvicina pian piano, cerca di smembrare il gruppo, di separare la preda dagli
altri, di generare caos, di confondere e creare panico. Stesso dicasi per lo
stalker, che si avvicina piano, come il felino, proponendosi come “uno
qualunque”, innocuo, pacifico, evitando che la sua vittima nutra diffidenza.
Egli la conquista con modi gentili, affabili, tanto da sembrare protettivo e
suo complice. In seguito, proprio come il felino, “smembra il gruppo”, “separa
la preda dagli altri”. Questo momento è dato dall’isolamento che inizialmente
la vittima confonde con la protezione; per isolamento si intende
l’allontanamento da tutte le persone, dai familiari, dagli amici, dal lavoro,
da ogni forma di socializzazione.
Successivamente,
il felino “genera caos, confonde, solleva polveroni, provoca panico”. Questo
momento è cruciale, il sollevare polveroni, il confondere il branco e scatenare
il panico, per lo stalker significa spaventare gli altri attraverso la
diffamazione nei confronti della vittima. La vittima viene del tutto isolata
poiché presentata come sporca, incapace, malata, piena di disturbi, disonesta e
pericolosa.
Come
può uno stalker riuscire a fare tutto questo? Inizia a costruire delle prove
attraverso informazioni prese durante il primo momento dell’osservazione. Il
felino quando studia la sua preda riesce a cogliere i suoi punti deboli ed è su
quei limiti che fa leva per agire nel migliore dei modi.
Nel
caso dello stalking, i limiti della vittima sono le sue stesse confidenze che
però vengono abilmente manipolate e presentate agli altri con significati
distorti, completamente alterati. Tutto questo si chiama “diffamazione”,
portata abilmente avanti da un lupo che si presenta come agnello. Ecco che la
vittima diventa carnefice ed il carnefice la vittima.
Questo
processo si fa sempre più crescente e morboso, entra nella mente della collettività,
degli amici, dei familiari, determinando un vero e proprio “plagio” che si
conclude esattamente con quell’isolamento.
Isolare
una vittima equivale a controllarla, a gestirla, a distruggerla. Nasce così la
“persecuzione”.
Quando
la preda è ormai sola scatta la rincorsa, il felino finalmente parte e comincia
ad inseguirla. A questo punto tre sono le possibilità:
1
qualcuno interviene a salvarla, un altro animale coraggioso e robusto, ma si
tratta di una rarità, poiché quando la vittima è stata isolata, gli altri
animali stanno scappando in preda al terrore e non tornerebbero mai indietro
per salvare il malcapitato.
2
La preda impiega tutte le sue forze e trova da sé un modo per nascondersi, per
sfuggire all’attacco. Una volta riuscita nell’intento dovrà ritrovare il suo
branco e farsi riaccettare. Senza dubbio sarà provata, ferita, indebolita,
pertanto dovrà necessariamente affidarsi alle sue stesse risorse personali per
sopravvivere.
3
Verrà inevitabilmente uccisa o lesa gravemente.
Quando
una vittima muore allora avviene il risveglio dal plagio, scatta il senso di
colpa e la consapevolezza di aver abbandonato chi non meritava di certo quella
morte. La morte di cui si parla non è soltanto quella fisica, ma anche quella
psicologica, quella sociale. Talvolta tutte insieme, poiché non è raro che una
persona diffamata tenti il suicidio, affranta da un dolore insopportabile.
La
diffamazione genera l’abbandono, che si esplica attraverso l’omertà,
l’indifferenza, l’emarginazione, il disprezzo gratuito. Tutto questo è
possibile perché l’essere umano si affida al pregiudizio e non al proprio
patos. L’empatia, che significa “soffrire insieme”, non è più un tratto
genetico dell’anima, perché è stato perduto nel tempo attraverso una modifica
provocata dal mondo esterno. Un mondo mediocre, una grossa iniezione di
superficialità e di messaggi legati al piacere, al profitto.
Questa
overdose ci ha resi impermeabili al dolore altrui, ecco perché la violenza si
apre a macchia d’olio.
Esiste
tuttavia una distinzione tra il vero lupo ed il vero agnello, si tratta di
caratteristiche che si possono individuare comprendendole bene.
Cosa
fa uno stalker che non farebbe mai una vittima?
1
Uno stalker ha la mania di parlare con tutti, nella realtà telefona, contatta
morbosamente i conoscenti più stretti della vittima. Nella piattaforma virtuale
(facebook) scrive privatamente, mette in guardia chiunque da quella determinata
persona. Presenta un quadro della situazione convincente, avvalendosi di prove
che sono frutto di manipolazione o totalmente costruite, inventate. Di solito
un bugiardo per rendere credibile la sua versione falsa, parte da una realtà
vera, da un episodio esistente. Tutto quello che ricama intorno a quella base è
distorsione allo stato puro. In altre situazioni, ancora più diaboliche, il
carnefice interagisce con la vittima proprio per trovare delle verifiche che
compromettano gravemente la reputazione della sua preda.
In
questo modo fa regali, offre con insistenza soldi, gioielli, fiori, ricariche
telefoniche. Sono tutti doni imposti e che la vittima accetta per timidezza o
perché non può farne a meno.
Quei
regali verranno successivamente trasformati in “ricatto” e presentati agli
altri come “prove”, delle sue manipolazioni. Ecco che scatta l’estorsione, la
minaccia e la diffamazione.
La
vittima verrà ritenuta da tutti un’approfittatrice, un’imbrogliona,
un’opportunista, mentre il manipolatore risulterà essere ingannato, addolorato,
ferito e mortificato.
Una
vera vittima non telefona agli amici del suo bersaglio, non si procura il
numero di telefono dei suoi parenti, dei fratelli, dei figli. Non contatta i
collaboratori della sua preda (mobbing) .Una vittima può fare l’errore di
entrare in panico, di arrancare in una disperata difesa personale, tentando di
convincere coloro che l’hanno abbandonata che è innocente. Di solito non ci
riesce, poiché coloro che l’hanno lasciata, non soltanto non le hanno dato
spiegazioni, ma hanno rotto ogni dialogo con lei e non accetteranno repliche,
essendosi affidati alle menzogne sul suo conto.
Una
vera vittima non parla male degli altri, questo è il primo segnale. Quando
qualcuno inizierà a mettervi in allarme, a diffamare in modo grave un vostro
conoscente, sappiate che ha sempre uno scopo, che è quello di far del male a
qualcuno. Chi parla male non ha mai subito, iniziate da questa consapevolezza.
Nessuna vittima fa questo, la diffamazione appartiene a menti diaboliche, non a
chi soffre.
Se
si impara a capire questi meccanismi, allora diviene possibile un cammino di
ricostruzione della verità e di salvaguardia della giustizia. Non è la legge
che ha in mano la soluzione di questi meccanismi perversi, ma la mente delle
persone.
(Tratto
da un saggio sulla corruzione, scritto da Eleonora Giovannini)
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