martedì 3 gennaio 2012

VIAREGGIO - RAJMONDA VIVEVA NEL TERRORE IL MARITO LA PICCHIAVA

Viareggio, 12 gennaio 2010 - "Rajmonda aveva paura di suo marito e per questo aveva deciso con fermezza di separarsi". Lo sostiene l’avvocato matrimonialista Anna Petroni, dell’omonimo studio in via Sant’Ambrogio, dalla quale si era rivolta la giovane madre albanese uccisa la mattina del 31 dicembre dal marito Franco Antonio Quinci, 35 anni. Il quadro che viene tracciato è inquietante. Un rapporto finito da tempo, una profonda incomunicabilità fra i due coniugi, un relazione deteriorata e insanabile condita da minacce verbali e fisiche di cui la donna era costantemente vittima.

"Rajmonda — ricorda adesso l’avvocato Petroni — venne da me a inizio di ottobre. Era ferma e decisa nella sua volontà. Come sempre facciamo in questi casi ho provato a verificare se ci fossero le condizioni per appianare i dissidi che aveva con il marito. Ma ho subito appurato che non vi erano margini per ricomporre il rapporto".

Come mai? Cosa le diceva Rajmonda?
"Mi diceva che suo marito la minacciava e la picchiava. Ne ho parlato anche con i carabinieri. Ma purtroppo, a quanto pare, non ci sono più tracce dei messaggi che le lasciava. Poi ci sono i maltrattamenti. Non grandi cose, ma sufficienti per denunciare una persona".

Ma lei non aveva mai denunciato suo marito?
"No. Probabilmente sopportava in silenzio. Come purtroppo fanno ancora tante donne. Io le avevo consigliato di denunciarlo e comunque le avevo lasciato i miei numeri telefonici. Le avevo detto di chiamarmi a qualsiasi ora del giorno o della notte. Ma non l’ha mai fatto".

A che punto era la separazione fra i due?
"Come da prassi avevamo mandato a ottobre una raccomandata direttamente a lui. Ne ha presa visione, perché abbiamo la ricevuta di ritorno, però non ha mai risposto. Né lui direttamente, né tramite un legale. Così il 3 dicembre ho depositato in Tribunale il ricorso e a questo punto eravamo in attesa che il giudice fissasse l’udienza. Di questo ricorso lasciai una copia a Rajmonda. Di questa copia adesso non c’è traccia".

Potrebbe averla letta lui la mattina del 31?
"Non posso sapere cosa è successo quella mattina. Lui può aver trovato la copia di Rajmonda. Fra l’altro lei a novemvre aveva fatto richiesta del patrocinio gratuito a spese dello Stato e lo aveva ottenuto perché non lavorava. Forse il marito aveva saputo anche questo e in in ogni caso conosceva la situazione. Forse il 31 è bastato un episodio particolare, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua sopportazione".

Si aspettava un epilogo del genere?
"Fino a questo punto no, ma purtroppo, in base alla mia esperienza professionale, posso dire che ci sono uomini che accettano molto difficilmente la separazione".

Eppure non vivevano più da tempo come marito e moglie...
"E’ vero. Rajmonda mi diceva che si chiudeva nella sua cameretta e lì stava da almeno due anni, senza avere più rapporti col marito. Era a conoscenza del fatto che il marito aveva avuto problemi psichiatrici nel suo passato, e questo fatto la preoccupava ancora di più. Io ho conosciuto una ragazza fisicamente e psichicamente esaurita, ma allo stesso tempo determinata ad andare avanti nella sua decisione di lasciare il marito".

Intanto ieri i carabinieri hanno cercato nuove prove nella casa del delitto, a Stiava. C’erano i Ris e anche il medico legale Stefano Pierotti che, su incarico della Procura, lunedì aveva effettuato l’autopsia. "Il sopralluogo — ha detto — è un passaggio necessario per acquisire ulteriori elementi di valutazione che saranno messi a disposizione del magistrato".

Paolo Di Grazia - La Nazione -

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