La risposta è nel Kintsugi (o Kintsukuroi),
letteralmente "riparare con l'oro". E' la pratica giapponese che
consiste nel riparare gli oggetti rotti con materiali preziosi, oro e
argento colato, per risaltarne le crepe, le spaccature. Ogni oggetto
ritrova l'unicità, diventa speciale per l'intreccio casuale e unico della molteplicità delle proprie ferite.
L'imperfezione di queste, diventa perfezione, estetica esteriore ed
interiore, un elemento da valorizzare, invece che da nascondere. Per i
giapponesi, quindi, quando qualcosa si rompe, subisce e racconta una
storia, diventa più bello, più prezioso, più raro. La ferita non è più
una colpa, qualcosa di cui vergognarsi, ma è un simbolo, uno stemma da
portare con fierezza.
La vita è integrità, ma è anche rottura.
E non sarebbe tale senza cadute rovinose, e rialzate leggendarie. Il
dolore può essere una grande parte della nostra vita, ci insegna, ci
segna, e ci urla che siamo vivi, che ci siamo, e che stiamo vivendo ciò
che abbiamo attorno, ciò che respiriamo. Quante volte persi nel buio ci
siamo detti "non ce la farò a uscirne", e invece ce l'abbiamo fatta. Quante volte feriti dall'amore, dall'amicizia, dai sogni e dalle delusioni che a volte comportano abbiamo pensato di smettere di credere, di lottare, e quindi di vivere la vita con quello struggle che la rende difficile, ma meravigliosa. Le ferite ci rendono ciò che siamo, temprano il nostro coraggio e la nostra forza, ci fanno capire quanto di noi siamo disposti a mettere in gioco e quanto di noi siamo disposti a lasciare scoperto, senza difese, per correre il rischio di realizzare un nostro sogno, di renderci felici.
siamo detti "non ce la farò a uscirne", e invece ce l'abbiamo fatta. Quante volte feriti dall'amore, dall'amicizia, dai sogni e dalle delusioni che a volte comportano abbiamo pensato di smettere di credere, di lottare, e quindi di vivere la vita con quello struggle che la rende difficile, ma meravigliosa. Le ferite ci rendono ciò che siamo, temprano il nostro coraggio e la nostra forza, ci fanno capire quanto di noi siamo disposti a mettere in gioco e quanto di noi siamo disposti a lasciare scoperto, senza difese, per correre il rischio di realizzare un nostro sogno, di renderci felici.
Quanto mi piacerebbe se
allora, invece di nascondere ciò che ci ha ferito, lo valorizzassimo,
come quei vasi di ceramica con tessiture d'oro che i giapponesi riparano
con tanto amore e dedizione; se mostrassimo ciò che la vita, a volte
ingiusta, ci ha posto davanti, e come l'abbiamo saputo affrontare.
Saremo allora dei grandi guerrieri, con grandi, luccicanti e sfarzose armature, e con grandi, luccicanti e sfarzose ferite d'oro, che proteggono di più di qualsiasi corazza.
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